Continuiamo il nostro viaggio alla
scoperta della cultura bangladese e del suo popolo. Dopo aver parlato nella prima
parte, delle tradizioni e della storia del loro paese (bidesh),
questa volta ci concentreremo su come vivono i bangladesi nel nostro Paese (shodesh).
Scuola di italiano per madri bangladesi
POPOLO
DI MIGRANTI. Le migrazioni dal Bangladesh hanno avuto inizio nel
Settecento, alternandosi secondo le vicende politiche nazionali. Nel 1947, per
esempio, quando il Bangladesh era ancora Pakistan orientale, i forti conflitti tra hindu e musulmani portarono circa 3 milioni di hindu verso l’India e
circa 846 mila persone d’inverso nel Bangladesh. Con la guerra d’indipendenza
dal Pakistan nel 1971, 10 milioni di bangladesi cercarono rifugio in India. Verso l’Europa la prima grande onda migratoria
cominciò nel ’600, come manodopera a basso costo importata nel Regno Unito
dalla Compagnia delle Indie Orientali. Questo spiega la massiccia presenza di
migranti bangladesi, ancora oggi, nel Regno Unito;
al punto che tali immigrati vengono chiamati sia probashi (“abitanti di fuori” – migranti) sia londoni (britannici). Fino al 2003 la migrazione era quasi
esclusivamente maschile, per poi subire un lieve incremento nella
partecipazione femminile che rimane però al 5%. Oltre il 70% dei probashi è
diretto verso i Paesi del Golfo, seguiti dalla Malesia e da Singapore.
Donna
in strada per festeggiare la Festa della Donna
BANGLADESI
IN ITALIA. In Italia il flusso migratorio dal Bangladesh iniziò
negli anni Ottanta, principalmente nell’area romana, dove si registrò negli
anni Novanta il primo caso di occupazione di uno stabile (La Pantanella, ex-fabbrica di pasta abbandonata) da parte di
cittadini immigrati, a causa della mancanza di luoghi ove dormire. Da quel momento
il movimento d’entrata nella nostra nazione non si è più arrestato. Se nel 1990
la sanatoria della “legge Martelli” contava 4.296 permessi di
soggiorno per cittadini bangladesi, nel 2003 si registravano 27.356 residenti,
sino ad arrivare agli 82.451 d’inizio 2011.
Tolta Roma, che è la città con la più alta presenza di
bangladesi (il 18,5% della collettività), la regione che segna il numero
maggiore di cittadini del Bangladesh è ilVeneto (18.900, il 22,1%) e
poi la Lombardia. Il Lazio è al terzo posto con il 20,1% (17.200). Dei
residenti globali il 32% è rappresentato dalle donne, e la fascia di età
principale è quella dei giovani adulti (18-44 anni) che rappresenta il 71,5%
del totale. Gli alunni
bangladesi nelle scuole nell’anno scolastico
2010\2011 sono stati 10.500, dei quali 1.556 (il 14,8%) iscritti nelle scuole
della Provincia di Roma. La stragrande maggioranza dei probashi è in Italia per lavoro,
soprattutto di tipo subordinato; ma è in aumento anche l’imprenditoria: sono al quarto posto fra le collettività immigrate
nell’ambito dell’imprenditoria (il 4,3% del totale degli stranieri), in primo
luogo nelcommercio. Come rimesse, nel 2010 dall’Italia sono partiti 193
milioni e 500 mila euro verso il Bangladesh; il 27% (52 milioni di euro) solo
da Roma.
Queste sono le statistiche per avere un
quadro generale di quanti sono e dove vivono i bangladesi in Italia. Ma come
vivono da noi?
Alunna di scuola di lingua bangla
SRONIK:
SACRIFICI, LAVORO E UMILIAZIONI. È stato presentato
tempo fa in una delle scuole più famose per presenza di alunni stranieri di
Roma, la Carlo
Pisacane, nel cuore del quartiere bangladese per
eccellenza, un saggio curato da Francesco Pompeo intitolato
“Pigneto-Banglatown” (Meti edizioni), dove si analizza lo stile di vita dei
bangladesi in un quartiere che sembra uno spaccato di Dhaka. Questo saggio esamina
bene le dinamiche dellaquotidianità. La prima cosa che emerge, anche dagli studi
documentati nell’ultimo rapporto Caritas-Migrantes 2012, è che i cittadini
bangladesi che giungono in Italia sono giovani maschi, spesso di formazione e
status medio – alto, partiti per elevare il proprio status sociale ed economico, i quali si trovano però davanti una
realtà che al contrario li mortifica. Per molti di loro diventare sronik (lavoratore) in Italia è undeclassamento sociale, che riguarda anche la famiglia del lavoratore nel bidesh, dove frequentemente le famiglie sono commercianti,
hanno un’attività (kaj) che non ha il medesimo valore di un’attività manuale
o subordinata, appannaggio in Bangladesh a gusthi (patri lignaggio di appartenenza di una persona) di infimo
livello (F. Pompeo, pag. 78).
In poche parole, lavorare in un
call-center, un internet-point, un negozio di frutta, o peggio avere una
bancarella ambulante, rappresenta un’onta per la famiglia di provenienza, e per lo stesso probashi in Italia. Infatti, la maggior parte delle famiglie in
Bangladesh non viene mai a sapere della reale condizione di vita dei propri parenti nel nostro paese, quale sia
esattamente il loro lavoro. Tutti i sacrifici e le umiliazioni patite qui da
noi sono segrete a chi rimane in bidesh.
A loro arriva solo il flusso di denaro che testimonia l’agiatezza dei migranti
lavoratori. Ha dunque senso rimanere in Italia perché pare che in Bangladesh
non sia così facile investire le risorse economiche in progetti di autopromozione; da noi invece, se si ha tenacia, volontà e una mente
dedita agli affari, lo sronik può migliorare la sua posizione sociale (manifestata
simbolicamente dal vestiario) e di riflesso (con la traccia del denaro inviato)
elevarla anche in Bangladesh. Aggiungiamo, inoltre, come per arrivare a questi
status sociali i probashi spesso siano costretti a vivere in stanze sovraffollate, in posti letti pagati profumatamente ad affittuari
bangladesi – questo è un mercato nero senza morale che specula sulle vite dei
propri concittadini – o italiani che fanno affari d’oro. Vengono chiamate bachelors’ houses (le case degli scapoli), e capita che alcuni uomini
vivano con la famiglia in un quartiere e dormano in questi alveari umani perché là hanno il luogo di lavoro, stanze con anche
tre letti a castello e brandine varie tutte pagate singolarmente.
STATUS
SOCIALE E POLITICA. Questo è l’universo psicologico ed
economico complesso in cui si muovono i bangladesi in Italia. Ovviamente esiste
anche una larga percentuale di famiglie felici e benestanti, con avviate
attività e case acquistate con il mutuo dove abitano senza coinquilini. Lo status sociale è fondamentale, non solo agli occhi degli italiani –
ha una diversa considerazione un venditore di rose per strada, da un cuoco in
un ristorante italiano fino ad un imprenditore – ma anche agli occhi della
stessa comunità bangladese. Credo si possa affermare che non molte altre
comunità migranti in Italia pullulino di capipopolo quanto quella bangladese. Figure che hanno fatto
fortuna, ricche, a cui si legano membri diversi della comunità di quartiere,
anche e soprattutto per questioni
politiche. Come abbiamo spiegato nella prima
parte, l’uomo bangladese sente in modo vigoroso le vicende politiche; pertanto
in Italia si ricreano le stesse dinamiche e divisioni politiche che animano le
lotte di partito nel proprio paese. O si è per l’Awami League (il
partito governativo dell’attuale Primo Ministro Sheikh Hasina) o si è per Khaleda Zia (il partito nazionalista d’opposizione), i quali si
contendono il potere – anche con passati spargimenti di sangue –
dall’indipendenza dal Pakistan. Pure in Italia ci sono partiti, testate
giornalistiche, eventi culturali affiliati a queste due opposte fazioni. Se sei amico di uno seguace di un partito
difficilmente potrai esserlo anche di qualcuno che milita nel partito opposto.
Bangla Patshala a Roma (Scuola lingua bengalese per
bambini)
LA
LINGUA BANGLA, UN’EREDITÀ COMUNE. Fortunatamente
non c’è solo la politica ad animare l’orgoglio dei bangladesi. La difesa della propria lingua livella ogni differenza. Ilrispetto per i martiri della nazione, deceduti affinché il bangla fosse la lingua del
Bangladesh, è il cuore delle scuole
di lingua che si aprono in ogni città italiana: le bangla pathshala o Bangla Academy, nascono con l’intento di preservare
la conoscenza della lingua alle nuove generazioni. Bambini nati qui, che
alternano l’italiano a scuola la mattina alla propria lingua nei corsi
pomeridiani, o fine settimanali, tenuti da madri volenterose. L’alfabeto
bangladese deriva dall’alfabeto Brahmi ed ha 11 vocali (che mutano se seguono
una consonante) e 27 consonanti.
LA
MUSICA NEL SANGUE. Ai bambini viene insegnate anche la danza e la musica
tradizionale. Sì, perché la musica è veramente nel sangue di questa gente:
sembra quasi che ogni donna in cuor suo sogni di essere una famosa cantante, e
tutte intonano canzoni suonando l’harmonium (strumento a tastiera alimentato dall’aria prodotta da
un mantice, suonato con una mano che pigia i tasti e con l’altra che contrare
il mantice), mentre agli uomini si riservano le percussioni (tabla).
Donna suona l'harmonium e un uomo le tabla durante una
festa hindu
Potreste essere stupiti dal trovarvi
davanti donne con mole notevole tirar fuori voci esili come usignoli. È
sufficiente andare ad un qualsiasi festival – il più famoso è il Boishakh Mela che celebra il Capodanno bangladese (Pôhela
Boishakh) che cade il 14 Aprile – per
assistere alle esibizioni delle artiste del luogo e alle danze coloratissime
dei bambini. Segno inequivocabile di quanto sia importante la conservazione
delle proprie tradizioni culturali. Altri festival più piccoli (il Boishakh Mela dura solitamente una settimana) ma sempre colorati –
queste feste sono un’occasione per le donne di sfoggiare gli abiti più belli, i saree acquistati nei giorni precedenti – sono il Falgun (la Festa
della Primavera che coincide con il 13 Febbraio) e la pitha-mela (la Festa
delle torte). Tra quelle religiose c’è l’Eid, la
festa per la fine del Ramadhan.
Shaheed Minar a Roma
CULTURA
BANGLADESE, UNA TRADIZIONE DA CONSERVARE. Ancora riguardo alla
conservazione delle tradizioni, che nella maggior parte dei casi equivale, per
le comunità migranti, ad una riproduzione in terra d’immigrazione delle
abitudini della terra d’origine, va ricordato come a Roma sia stato donato
qualche anno fa uno spazio verde dove erigere una copia in scala minore del Monumento ai Martiri(Shaheed
Minar), presso cui vengono deposti i fiori
dalla comunità nella notte del 20 Febbraio.
I bangladesi sono rinomati giocatori dicricket, come tutta l’area indo-pakistana e srilankese che ha
subito l’influenza delcolonialismo britannico.
Attraverso lo sport i ragazzi cercano una via di rivalsa alla loro condizione
di vita in Italia, ed è successo che squadre di cricket formate da ragazzi
giovanissimi siano arrivate a competere ad alti livelli (per poi scontrarsi con
la burocrazia dei tesseramenti). Solo a Roma vanno citate tre
importanti squadre: ilBangla
Boys Cricket Club, il Rome Bangladesh Cricket Club e il Piazza
Vittorio Cricket Club.
I matrimoni avvengono invece quasi esclusivamente in patria, qui è
impossibile sostenere economicamente il costo di un matrimonio che dura quattro giorni e sfami tutta la cerchia di amici e parenti dello
sposo e della sposa. Del resto, un matrimonio povero sarebbe un’onta
insopportabile per la coppia e le loro famiglie. Molto meglio prendere dei
giorni di ferie e andare a sposarsi in Bangladesh.
La comunità bangladese è a prevalenza musulmana ed hindu (con un numero minore di buddhisti e cristiani). La
differenza è riscontrabile solo dalle donne: le musulmane hanno iniziato ad
indossare il velo classico islamico (hijab),
laddove in anni passati lasciavano scoperto il capo per velare unicamente i
capelli in modo leggero con lo scialle dell’abito (ulna),
mentre le donne hindu, se sposate, hanno un tratto rosso all’attaccatura dei
capelli nel centro della fronte. In Italia sono molte le moschee e i centri
islamici gestiti da imam bangladesi, a volte in garage, dove si insegna anche
l’arabo ai bambini (iqro).
Nel campo del lavoro abbiamo già detto
come questo popolo sia forte nella rivendita al dettaglio di generi alimentari
e nei servizi (phone center, internet point). Mentre le donne, che negli anni
addietro rimanevano per lo più in casa senza imparare mai l’italiano, ora si
integrano molto meglio, ed è in aumento positivo il numero di donne bangladesi
attive nel sociale, come mediatrici culturali.
Bambina truccata per Falgun
IMPARIAMO
IL BANGLA. Per concludere, un po’ di terminologia. La frase che
sentirete maggiormente in una conservazione bangladese è thik ache (nelle due pronunce thik accè o thik
assè) che vuol dire “Sei d’accordo?” o “Sono
d’accordo”: provate ad ascoltare una telefonata qualsiasi di un bangladese per
strada e ne avrete la riprova. “Uomo” si dicemanush, mentre “donna” si dice mohila, sebbene stranamente le donne non amino sentirsi chiamare
in questo modo: tra di loro si chiamano bhabi,
che equivale alla nostra “cognata”, indica una parentela più affettiva e
simbolica che reale (ma un estraneo non può rivolgersi in questo modo ad una
donna bangladese). Ammu è la madre e abbu il
padre; i bambini vengono affettuosamente chiamati babu.
Il complimento ad una donna va dal sempliceshundor (bella) sino al
massimo della bellezza che è fatafati: un complimento del genere fa sgranare gli occhi a
qualsiasi donna bangladese, così come i complimenti ai loro abiti a cui tengono
molto e sono parte integrante della loro vanità.
Anche questa parte non può essere
esaustiva. Deve terminare qui. L’intento non è enciclopedico né ha la
presunzione di essere un saggio. È solo un tentativo di avvicinare ciò che sembra
lontano, incomprensibile. La sfida della multiculturalità, delle moderne
frontiere, è quella non di rendere un tutto omogeneo ed amorfo, ma mantenere
l’alterità per renderla prossima a noi quanto più possibile. Conoscere gli
altri è una ricchezza sia per noi quanto per loro. E aiuta a vincere i
pregiudizi.
Quando ci si accosta al parco un
bangladese che vuole venderci una rosa, o un lavavetri al semaforo, è
sufficiente un no ed un sorriso, senza scortesia. E pensiamo che con una nostra
moneta lui magari riesce a far studiare i figli o comprare i medicinali ai suoi
genitori nel suo paese. Questo non è qualunquismo, ma una delle dinamiche che
regolano i rapporti tra i Paesi dalle economie avanzate a quelli che rientrano
tra le economie povere. A Dhaka ci sono bambini minorenni che lavorano nelle
fornaci del vetro e dei mattoni quasi 24 ore al giorno per avere come paga
poche monete che sfamano tutta la famiglia. Magari uno di questi bambini è il
figlio di chi vi sta vendendo una rosa. Pensiamoci.